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Michel OZ - Inmagina
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Michel OZ

Project Description

L’eleganza del caos
di Gina Ingrassia

 

Quanta vita e quante storie nell’universo artistico di Michel Oz, dove nulla è immobile a se stesso ma tutto è in movimento, in perenne, incessante divenire.
E’ un divenire “divenuto” il risultato finale, quello che si manifesta per mezzo di successive stratificazioni e di improbabili accostamenti, ottenuti con un minuzioso, certosino operare.
L’atto artistico e l’artigiano intervento passano certo per la tecnica del collage ma la attraversano e oltrepassano con agile salto nell’ “oltre”.
C’è qualcosa di assolutamente unico nell’opera di Michel Oz che non si esaurisce in un mero gioco di accostamenti e sovrapposizioni, non è puro processo di addizione. Ogni elemento originario permane, intatto e fiero, si integra col nuovo originando qualcosa di impensato, conserva impronta del passato e traccia della sua identità ma si plasma e rinnova nel presente. Sono frammenti da cui prende vita qualcosa di nuovo, la trama di una storia che si dispiega ribaltando punti di vista e prospettive, che nel suo gioco di sovrapposizioni assume le forme dell’inconsueto e lo percorre mescolando il riso con il pianto, la gioia col dolore, il sacro col profano.
Emergono mondi bizzarri, festosi e malinconici a un tempo, in cui il caleidoscopico gioco del reale apre a nuove visioni.
Ciò che impressiona è la sorprendente eleganza del caos, uno strappo che diventa poesia.
Provate voi a uscire per strada, a strappare brandelli di carta dai muri, provate voi a ricavarne da quelle rovine un sistema vivente e pulsante.
Un supereroe sbiadito e un poco invecchiato non ha più le sue gambe ma vola lo stesso leggero, Madonne urbane adorne di ori hanno l’aureola come un’ala spezzata e scrutano il mondo con occhi furtivi e pietosi, lettere che non formano più parole galleggiano sulla superficie in attesa di un significato che forse non troveranno mai. E le rose, le rose di Shepard Fairy, le sue pistole, il viso di Mao, volti, occhi, braccia, mani. Quante storie.
L’opera nel suo risultato finale diviene metafora dell’umana esistenza cui l’incessante processo del tempo e degli eventi imprime nuove forme, modifica i contorni, talvolta ingrigisce, senza tradirne la profonda natura del sé.
Le opere di Oz vivono in un territorio senza tempo, dove abitano il relativo e l’impermanente, dove si origina il principio stesso di possibilità cui lo sguardo dell’altro restituisce il senso ultimo in quella caleidoscopica proposta di significati.
È tutta lì la sua dirompente potenza espressiva, nella compresenza di passato e presente, di antico e futuro, materia viva, fluida che assume in quel dato istante una tra le infinite possibili forme.
In quella dimensione atemporale anche lo spazio viene meno, non può esistere, sopravvivere. Dove siamo? A Roma, Palermo, Londra, Berlino, Buenos Aires? Non so, ma cosa importa? In tutti e in nessun luogo. Si librano lievi le opere, abbracciando e permeando l’universo come voci di un canto antico e potente che risuona nell’adesso e ovunque.
E così l’opera si espande gioiosa e oltrepassa i propri confini, libera ed eterna, non più chiusa, circoscritta, definita, intrappolata all’interno della sua cornice che diviene a sua volta parte integrante, racconto essa stessa, estrema appendice, approdo ultimo, ansiosa propaggine che la ricollega al mondo tutto di cui essa fa parte.
E’ il miracolo della creazione artistica che si perpetua e si rinnova, ancora una volta.

Il testo è pubblicato nel catalogo realizzato in occasione della mostra, Michel Oz, presentata alla Casa Argentina dall’8 al 30 giugno 2022.
Edizioni Pandion

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